“Liberté Egalité Internet” (Editoriale scientifica, Napoli, 2015, 186, pp.) di Tommaso Edoardo Frosini, Ordinario dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.
1. – La teoria del diritto di libertà informatica
La dottrina della libertà informatica nacque nell’ormai lontano 1981 con l’intento di dare un respiro teorico al problema che allora impegnava maggiormente il giurista coinvolto nelle tematiche di diritto dell’informatica, che era quello della protezione della riservatezza con riferimento alle banche dei dati[1]. Innanzitutto, va sottolineato come la dottrina della libertà informatica aveva la sua matrice ideologica nella concezione di un nuovo liberalismo, inteso come fermento lievitante di una civiltà liberale promossa dalla rivoluzione tecnologica; e si sviluppava sulla base di una nuova dimensione del diritto di libertà personale, in una fase storica della civiltà industriale caratterizzata dall’avvento dei calcolatori elettronici. Tipico nuovo diritto scaturito dalla evoluzione della civiltà tecnologica, il diritto di libertà informatica manifesta un nuovo aspetto dell’antica idea della libertà personale e costituisce l’avanzamento di una nuova frontiera della libertà umana verso la società futura. Questa nuova forma di libertà personale deriva dall’esigenza di salvaguardare la persona umana dalla minaccia e dall’insidia rappresentate dalla degenerazione del nuovo potere sociale, economico e giuridico, che è il potere informatico; e quindi, la capacità di accumulazione, memorizzazione, elaborazione e trasmissione dei dati informatici personali, che conferisce un potere conoscitivo prima sconosciuto e che consente di attuare una sorveglianza occulta, onnipresente, pervasiva dei comportamenti privati.
Nella sua originaria versione, quella esposta nel 1981, la libertà informatica veniva raffigurata – al pari di quella politica – come positiva e negativa. La libertà informatica negativa, esprime «il diritto di non rendere di dominio pubblico certe informazioni di carattere personale, privato, riservato (qualifiche queste, che potrebbero in certi casi non coincidere tra loro)»; la libertà informatica positiva, invece, esprime la facoltà «di esercitare un diritto di controllo sui dati concernenti la propria persona che sono fuoriusciti dalla cerchia della privacy per essere divenuti elementi di input di un programma elettronico; e dunque libertà informatica positiva, o diritto soggettivo riconosciuto, di conoscere, di correggere, di togliere o di aggiungere dati in una scheda personale elettronica»[2].
Ecco che così il diritto di libertà informatica assume una nuova forma del tradizionale diritto di libertà personale, come diritto di controllare le informazioni sulla propria persona, come diritto dello habeas data. L’evoluzione giurisprudenziale ha riconosciuto e affermato questo nuovo diritto di libertà nei termini di protezione dell’autonomia individuale, come pretesa passiva nei confronti dei detentori del potere informatico, dei privati o delle autorità pubbliche. Con la nuova legislazione sulla tutela delle persone rispetto al trattamento dei dati personali (in Italia, la l. n. 675 del 1996), arricchita da una normazione europea, la nozione del diritto di libertà informatica ha trovato riconoscimento nel diritto positivo; ma nel frattempo ha subìto una trasformazione, giacché il diritto di tutelare i propri dati si attua nei confronti di qualunque trattamento di essi, anche non elettronico; e ha subìto altresì un mutamento del suo carattere, prima ispirato al principio della difesa dinanzi al potere informatico, ora considerato come un diritto attivo di partecipazione del cittadino al circuito delle informazioni. Emerge così il problema del riconoscimento di un diritto all’identità personale come nuovo diritto della personalità, costituito dalla proiezione sociale della personalità dell’individuo cui si correla un interesse del soggetto a essere rappresentato nella vita di relazione con la sua vera identità. La libertà di custodire la propria riservatezza informatica è divenuta anche libertà di comunicare ad altri le informazioni trasmissibili per via telematica, per esercitare così la libertà di espressione della propria personalità avvalendosi dei sistemi di comunicazione automatizzata.
Il diritto di libertà informatica acquisisce oggi un ulteriore significato a seguito dell’avvento dell’Internet, e ciò vale a dimostrare la sua attualità teorica. Infatti, con l’Internet, il diritto di libertà informatica «è diventato una pretesa di libertà in senso attivo, non libertà da ma libertà di, che è quella di valersi degli strumenti informatici per fornire e ottenere informazioni di ogni genere. E’ il diritto di partecipazione alla società virtuale, che è stata generata dall’avvento degli elaboratori elettronici nella società tecnologica: è una società dai componenti mobili e dalle relazioni dinamiche, in cui ogni individuo partecipante è sovrano nelle sue decisioni»[3]. Ci troviamo di fronte, indubbiamente, a una nuova forma di libertà, che è quella di comunicare con chi si vuole, diffondendo le proprie opinioni, i propri pensieri e i propri materiali, e la libertà di ricevere. Libertà di comunicare, quindi, come libertà di trasmettere e di ricevere. Non è più soltanto l’esercizio della libera manifestazione del pensiero dell’individuo, ma piuttosto la facoltà di questi di costituire un rapporto, di trasmettere e richiedere informazioni, di poter disporre senza limitazioni del nuovo potere di conoscenza conferito dalla telematica: di poter esercitare, insomma, il proprio diritto di libertà informatica. Appare chiaro, allora, come in questa nuova concezione “tecnologizzata” della libertà di comunicazione, fanno fatica ad affermarsi i contenuti delle tradizionali libertà costituzionali, in particolare quella di comunicazione e quella di manifestazione del pensiero. Pertanto, è la libertà informatica a rappresentare la nuova libertà costituzionale della società tecnologica, come dimostrano alcune esperienze di Costituzioni recenti e come lo si può senz’altro ricavare attraverso una interpretazione evolutiva delle Costituzioni meno recenti.
2. – La libertà informatica nelle Costituzioni: una breve rassegna comparata
Nel collocare la libertà informatica sotto il prisma del diritto comparato, e volgendo così lo sguardo verso alcune recenti Carte costituzionali, si può osservare come la elaborazione della normativa costituzionale abbia tenuto conto dello sviluppo tecnologico informatico e abbia, pertanto, provveduto a scrivere delle norme costituzionali dalle quali si può dedurre il principio di libertà informatica in senso attivo e passivo. Mi limito a fare soltanto alcuni esempi, tra i più significativi. Prima però non si possono non ricordare le due Costituzioni europee, che hanno introdotto il principio della libertà informatica (sia pure non ancora nella versione attiva e passiva). Si tratta, come noto, della Costituzione spagnola e quella portoghese, entrambe varate verso la fine degli anni Settanta[4].
Ma veniamo all’esame di alcune recenti Costituzioni. La Costituzione della Repubblica del Sudafrica[5], che è del 1993, prevede tre articoli, che in combinato disposto tra loro fanno emergere il diritto di libertà informatica. L’art. 13 intitolato Privacy: «Ogni persona avrà diritto alla propria privacy; il che includerà il diritto a non essere assoggettato a perquisizioni della propria persona, della casa o della proprietà, a non subire il sequestro di beni privati o la violazione delle proprie comunicazioni private»; l’art. 15 dedicato alla Libertà di espressione, in particolare il primo comma: «Ogni persona avrà diritto alla libertà di parola e di espressione: comprendente la libertà di stampa e di uso degli altri media e la libertà di creatività artistica e di ricerca scientifica»; e, infine, l’art. 23 sull’Accesso alle informazioni: «Ogni persona avrà diritto di prendere conoscenza delle informazioni possedute dallo Stato o da qualsiasi suo organo ad ogni livello di governo, in quanto tali informazioni siano richieste per l’attuazione della protezione dei propri diritti».
Assai interessanti, in quanto più esplicite, sono le norme costituzionali a tutela del diritto di libertà informatica previste nella Costituzione della Federazione di Russia del 1993 [6]. L’art. 23 dispone che: «Ognuno ha diritto all’inviolabilità della vita privata, al segreto personale e familiare, alla difesa del proprio onore e del proprio nome. Ognuno ha diritto al segreto della corrispondenza epistolare, delle conversazioni telefoniche, delle comunicazioni postali, telegrafiche e di altro tipo. La limitazione di questo diritto è ammessa esclusivamente sulla base di una decisione giudiziaria»; il successivo articolo, il 24, al primo comma afferma che: «Non è ammessa la raccolta, la conservazione, l’utilizzo e la diffusione di informazioni sulla vita privata di una persona senza il suo consenso»; infine, il quarto comma dell’art. 29: «Ognuno ha il diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente con ogni mezzo legittimo. Un elenco delle informazioni che costituiscono segreto di Stato è stabilito dalla legge federale».
Merita poi senz’altro ricordare la Costituzione Federale della Confederazione Svizzera, profondamente
modificata nel 1993 [7]. Una serie di articoli danno chiaramente il senso del diritto di libertà informatica. L’art. 13, relativo alla Protezione della sfera privata, afferma che: «Ognuno ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua abitazione, della sua corrispondenza epistolare nonché delle sue relazioni via posta e telecomunicazioni. Ognuno ha diritto d’essere protetto da un impiego abusivo dei suoi dati personali». All’art. 16, terzo comma, dopo il riconoscimento della libertà di opinione e di informazione, viene scritto che: «Ognuno ha diritto di ricevere liberamente informazioni, nonché di procurarsele presso fonti accessibili a tutti e di diffonderle». Ancora: l’art. 17, che disciplina la Libertà dei media, sostiene che: «La libertà della stampa, della radio e della televisione nonché di altre forme di telediffusione pubblica di produzioni e informazioni è garantita».
Per avere un maggiore riscontro dell’avvenuta costituzionalizzazione del principio di libertà informatica bisogna senz’altro volgere lo sguardo verso il continente dell’America Latina, che rappresenta un interessante laboratorio costituzionale dei nuovi diritti. E dove la dottrina della libertà informatica è stata molto influente[8], al punto da essere stata recepita e quindi costituzionalizzata in molti ordinamenti di quel continente.
In molte Costituzioni latinoamericane troviamo diverse norme che fanno chiaro ed esplicito riferimento alla tutela di situazioni soggettive derivanti dalla tecnologia informatica. Si è così affermato lo Habeas data costituzionale, quale nuova garanzia giurisdizionale del diritto pubblico latinoamericano; scopo dello habeas data costituzionale è quello – come ha sostenuto Eduardo Rozo Acuña in uno studio dedicato a questo tema – di assicurare, tra gli altri proprio «la libertà informatica, come garanzia personale a conoscere e accedere alle informazioni personali esistenti nelle banche dati, a controllare il loro contenuto e quindi a poterle modificare in caso di inesattezza o indebita archiviazione o trattamento, nonché a decidere sulla loro circolazione»[9].
Le diverse esperienze sullo habeas
data costituzionale in America Latina si possono dividere in tre categorie: a) Paesi dove la Costituzione ha previsto in forma diretta, completa e precisa lo habeas data (Guatemala, Brasile, Colombia, Paraguay, Perù, Ecuador, Argentina, Venezuela); b) Paesi che prevedono la garanzia attraverso la legislazione o in forma indiretta attraverso il ricorso di amparo costituzionale (Cile, Costa Rica, Bolivia, Nicaragua, Honduras); c) le altre esperienze, che prevedono una tutela indiretta dello habeas data (Panama, Messico, Uruguay e Salvador).
Tra le Costituzioni latinoamericane che consacrano il principio della libertà informatica, mi limito a ricordare qui la Costituzione della Repubblica Federale del Brasile[10], che è del 1999, il cui art. 5, comma settantadue (LXXII) afferma che «è concessa l’azione della habeas data: a) per assicurare la conoscenza di informazioni relative alla persona del richiedente, risultanti da registri o banche dati di enti governativi o di carattere pubblico; b) per la rettifica di dati, quando non si preferisca farlo tramite procedimento segreto, giudiziario o amministrativo». Così pure vale la pena ricordare l’art. 30, secondo comma, della Costituzione della Repubblica del Paraguay[11] (1992), che recita: «La legge assicura, con uguaglianza di opportunità, il libero accesso all’utilizzo dello spettro elettromagnetico, così come degli strumenti elettronici di accumulazione ed elaborazione dell’informazione pubblica, senza altri limiti che quelli imposti dai regolamenti internazionali e dalle norme tecniche. Le autorità devono provvedere affinché questi elementi non vengano utilizzati per ferire l’intimità personale o familiare e gli altri diritti stabiliti in questa Costituzione». La Costituzione, all’art. 135, determina quelli che sono gli elementi fondamentali del diritto costituzionale di habeas data: e quindi, la facoltà di tutti di accedere all’informazione e ai propri dati che esistono nei registri ufficiali o privati di carattere pubblico; poi, il diritto di conoscere le finalità della raccolta e l’uso degli stessi; infine, il diritto della persona di chiedere per via giudiziaria l’aggiornamento, la rettifica o la cancellazione, qualora le informazioni o i dati fossero erronei o danneggiassero illegittimamente i suoi diritti. Per concludere questa (di necessità) breve rassegna sul diritto di libertà informatica nelle Costituzioni latinoamericane, aggiungo un flash sulla disciplina costituzionale dello habeas data nella recente Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela (1999). L’art. 28, in particolare, dispone che tutti hanno diritto di accedere all’informazione e ai dati, raccolti in registri pubblici o privati, che riguardano la propria persona e i suoi beni; il diritto informatico comprende anche la facoltà di conoscere l’uso e le finalità dei dati e delle informazioni raccolte (potendo l’interessato rivolgersi al tribunale competente), l’aggiornamento, la rettifica o la cancellazione, se le informazioni o i dati fossero errati, incompleti o lesivi di diritti[12].
Infine, tornando così in Europa e in particolare nell’Europa costituzionale che dovrà pur nascere, merita menzionare il principio della libertà informatica introdotto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, varata a Nizza nel dicembre del 2000. In questo testo, il quale sia pure ancora privo di cogenza giuridica sta però esercitando influenza sull’interpretazione di norme interne e addirittura di principi costituzionali, all’art. 8, dedicato alla Protezione dei dati di carattere personale, viene affermato che: «Ogni individuo ha il diritto di protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica […]»[13]. E si può anche segnalare l’art. 11 della stessa Carta, laddove nell’affermare la libertà di espressione e quella di informazione stabilisce che queste sono esercitate «senza limiti di frontiera». Un richiamo questo, che ci appare significativo anche ai fini di una tutela della libertà di comunicare via Internet; sebbene, sul punto sarebbe opportuno che proprio l’Europa unita provasse a darsi delle regole comuni agli Stati membri per assicurare a tutti l’uso libero di Internet, e quindi un diritto comune di Internet giammai come vincolo alla libertà in rete ma piuttosto come condizione per la sua corretta espansione[14]. Lo slogan “libere reti in libero cyberspazio” per quanto possa essere efficace e suadente cozza con un principio che noi giuristi conosciamo bene, ovvero che la libertà ha sempre bisogno di un quadro istituzionale che le consenta di rimanere al riparo dagli attacchi che ad essa possono essere portati anche senza una volontà censoria.
Quindi, vorrei concludere sul punto con una considerazione di sintesi. L’unione fra le tecnologie informatiche e le libertà costituzionali ha generato il nuovo diritto di libertà informatica, il cui dispiegarsi giuridico ho prima indicato. La libertà informatica è da ritenersi, pertanto, una libertà costituzionale: che può essere dedotta costituzionalmente, ovvero ricavata e fatta così emergere nel tessuto dei principi costituzionali per il tramite dell’operato delle Corti costituzionali, oppure può essere costituzionalizzata, e quindi fissata e determinata negli articoli della Costituzione, così come è avvenuto in numerose Carte costituzionali di recente emanazione, in Europa e nel continente latinoamericano.
3. – Libertà informatica e democrazia elettronica
La libertà informatica non si esaurisce però nella (rinnovata) dimensione della comunicazione e dell’informazione. Essa comprende anche la libertà politica e l’organizzazione istituzionale. E’ noto, infatti, come la tecnologia sia destinata a mutare sempre più gli assetti istituzionali conosciuti e come il processo democratico sia profondamente influenzato dal modo in cui circolano le informazioni, laddove cioè la disponibilità di queste da parte di tutti i cittadini appare come un prerequisito di quel processo. La libera circolazione delle informazioni può produrre la formazione di una coscienza civile e politica più avvertita con un richiamo non più episodico agli interessi e alla capacità di giudizio del singolo cittadino, il quale sarebbe piuttosto reso partecipe di un circuito comunitario di informazione e di responsabilità.
La democrazia nel XXI secolo si prospetta in una forma diversa da quella che era nei secoli precedenti: mutano i significati di rappresentanza e di sovranità, avanza una nuova democrazia di massa, che rompe le cerchie chiuse delle élites al potere, obbligando per così dire i rappresentanti della volontà popolare a scendere sulla piazza telematica e a confrontarsi direttamente con i rappresentanti, nelle nuove forme assunte dalla tecnopolitica[15]. La nuova democrazia ha già ricevuto diverse denominazioni: democrazia «elettronica» (ma questo termine definisce lo strumento e non l’agente); «virtuale» (ma in tal modo l’indicazione politica ne risulta indebolita); «continua» (per il suo carattere di referendum perenne); ovvero ancora «nuova democrazia di massa» (con riferimento all’antica democrazia diretta)[16]. Essa ha ricevuto opposte valutazioni, dividendosi i suoi interpreti in due schiere, l’una di sostenitori e l’altra di detrattori, divisi sulla risposta alla questione di fondo, che può essere così formulata: l’impatto politico delle tecnologie informatiche su quei fragili sistemi complessi che sono le democrazie contemporanee favorirebbe la costruzione di un agorà o di un totalitarismo elettronici?[17] La dialettica dei giudizi sulla nuova forma di democrazia è però fondata su un presupposto comune di discussione: il superamento dell’attuale democrazia di tipo rappresentativo-parlamentare[18].
Anche la cosiddetta democrazia elettorale – quella fondata sul meccanismo del voto – sta già subendo delle trasformazioni in seguito allo sviluppo tecnologico delle società contemporanee. Per adesso, le trasformazioni riguardano essenzialmente le tecniche di votazione, ovvero il come si vota. La scheda elettorale cartacea sulla quale si appone la propria scelta politica è prossima ad essere messa da parte. E’ già in fase di sperimentazione, e anche in fase avanzata[19], il cosiddetto voto elettronico, che prevede l’effettuazione del voto per il tramite dei computers. Anziché porre un segno con la matita sulla scheda elettorale, si potrà pigiare il tasto di una tastiera del computer, all’interno della cabina elettorale, nel cui video verrebbe riprodotta la scheda elettorale elettronica, ed esprimere così il proprio voto e la propria preferenza politica. Questa tecnica di votazione – che si presenta semplice da realizzarsi nel caso del voto per i referendum, dovendo scegliere solo tra un
“si” o un “no” – consentirebbe di avere i risultati elettorali in brevissimo tempo una volta chiuse le votazioni, e di evitare defatiganti calcoli e scrutini peraltro sempre soggetti al rischio di brogli elettorali. Esempi di sperimentazioni del voto elettronico – e quindi le procedure di votazioni sostituite in tutto o in parte con strumenti tecnologici – si sono già effettuate in Germania: l’art. 35 della legge elettorale per il Bundestag prescrive la possibilità di utilizzare «macchine» al posto delle schede elettorali e quindi delle relative urne, qualora ciò consenta una semplificazione delle procedure elettorali. In Belgio, poi, è già dal 1991 che sono state introdotte forme di voto elettronico: e infatti, nelle elezioni politiche del 1999 il 44% dei votanti ha utilizzato la nuova tecnica elettorale informatica. In Italia, invece, la sola sperimentazione dello scrutinio elettronico, e quindi solamente il computo dei voti effettuato elettronicamente, non ha dato i risultati sperati; al punto, che a causa di vari disguidi tecnici – imputabili a errori commessi dall’organizzazione preposta al controllo e all’applicazione della nuova tecnica di scrutinio elettronico – si è dovuto procedere a un conteggio supplementare, da parte del Parlamento, per ben quattro milioni di voti!
C’è da dire, che gli scenari futuri della democrazia elettorale non si arrestano al voto elettronico. Infatti, si potrebbe inoltre prevedere il voto attraverso il proprio home computer[20], oppure addirittura attraverso il televisore con l’ausilio del telecomando. Certo, questa tecnica di votazione “casalinga” se da un lato potrebbe ridurre l’astensionismo (oltre alle spese elettorali), dall’altro lato però imporrebbe la fissazione di tutta una serie di garanzie (anche di carattere tecnico) per la salvaguardia della libertà di voto. Che anche – e forse soprattutto – nell’epoca della politica “tecnologizzata” e “globalizzata” rimane sempre un valore costituzionale da custodire gelosamente. Ma di fronte al futuro dobbiamo mostrarci ottimisti e concorrere a un rinnovato progresso della civiltà. Allora, ben venga la nuova democrazia tecnologica del XXI secolo, che si fonda sulla libera iniziativa individuale, sulla responsabilità del cittadino come persona, sulla sua facoltà di scelta e di decisione. Il voto individuale viene ad essere protetto e potenziato nella sua collocazione telematica, che elimina le manipolazioni, gli errori e i brogli dei sistemi cartacei, che consente una possibilità di scelta con il voto disgiunto, o alternativo, o di riserva, che può essere controllato e calcolato con l’ausilio del computer. E’ una democrazia non delegante ma partecipativa, che manifesta una nuova forma di libertà segnata dalla partecipazione del cittadino alla vita della collettività in forma di partecipazione al potere politico. Nasce così una «libera repubblica dell’informazione automatizzata [che] equivale, per la sua funzionalità di comunicazione e quindi anche di suggerimenti, di rivelazioni, di accordi e di deleghe, ad una nuova forma democratica di società: essa instaura le condizioni tecniche per l’attuazione pratica di un regime politico della democrazia di massa»[21].
* Scritto destinato al fascicolo speciale della rivista “Informatica&Diritto”, dedicato alla memoria di Isabella D’Elia Ciampi.
[1] Cfr. la relazione di V. FROSINI, La protezione della riservatezza nella società informatica, nel vol. Privacy e banche dei dati, a cura di N. Matteucci, Bologna 1981, 37 ss. (poi compresa nel vol. ID., Informatica diritto e società, 2a ed., Milano 1992, 173 ss.).
[2] V. FROSINI, op. cit., 41.
[3] Così V. FROSINI, L’orizzonte giuridico dell’Internet, in “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 2, 2002, 275.
[4] Mi riferisco, come noto, all’art. 35 della Costituzione portoghese, che è del 1976, e all’art. 18.4 della Costituzione spagnola del 1978. Su quest’ultimo, in particolare, v. A.E. PEREZ LUÑO, Informatica y Libertad. Comentarios al artìculo 18.4 de la Costituciòn espanola, in “Revista de Estudios Politicos”, n. 24, 1981, 46 ss.
[5] Leggila nel vol. Costituzioni straniere contemporanee, vol. II: Le Costituzioni di sette Stati di recente ristrutturazione, a cura di P. Biscaretti di Ruffia con la collaborazione di M. Ganino, VI ed. interamente rifatta, Milano 1996, 25 ss.
[6] Leggila nel vol. Costituzioni straniere contemporanee, vol. II: Le Costituzioni di sette Stati di recente ristrutturazione, cit., 255 ss.
[7] V. il testo della Costituzione Federale della Confederazione Svizzera nel vol. La revisione della Costituzione federale svizzera, a cura di A. Reposo, Torino 2000.
[8] Per la dottrina della libertà informatica nella cultura giuridica latinoamericana, V. FROSINI, Informatica y Derecho, Bogotà 1988; su cui v. E. SANCHEZ JIMENEZ, Los derechos humanos de la tercera generaciòn: la libertad informàtica, (comunicazione presentata al III Congresso Iberoamericano di Informatica e diritto), in “Informàtica y Derecho”, n. 3, 1992, 85 ss.; ma v. ora la monografia di C. CASTILLO JIMENEZ, Las nuevas tecnologias de la informacion y el derecho. De Vittorio Frosini a Internet, Sevilla 2003.
[9] Cfr. E. ROZO ACUÑA, Habeas Data costituzionale: nuova garanzia giurisdizionale del diritto pubblico latinoamericano, in “Diritto pubblico comparato ed europeo”, n. 4, 2002, 1923 (ivi, nelle note allo scritto, numerosi riferimenti bibliografici, legislativi e giurisprudenziali).
[10] Leggila nel vol. Le Costituzioni dell’America Latina. Vol. I: I Paesi dell’area del Mercosur, a cura di E. Rozo Acuña e G. Donati, Roma (ed. Senato della Repubblica) 2000, 108 ss. Ma v. pure l’art. 5, comma XIV, dove viene garantito anche l’accesso all’informazione e la tutela della segretezza delle fonti, come parte fondamentale del diritto d’informazione e all’informazione.
[11] Leggila nel vol. Le Costituzioni dell’America Latina. Vol. I: I Paesi dell’area del Mercosur, cit., 372 ss. Ma v. altresì l’art. 33 per la tutela del diritto alla riservatezza e l’art. 135 sugli aspetti fondamentali del diritto-garanzia costituzionale di habeas data. Sul punto, v. E. ROZO ACUÑA, op. cit., 1932-1933.
[12] V. il testo costituzionale venezuelano nel vol. A.R. BREWER CARIAS, La Constituciòn de 1999, Caracas 2000.
[13] V. l’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con il commento di F. DONATI, nel vol. L’Europa dei diritti, a cura di R. Bifulco-A. Celotto-M. Cartabia, Bologna 2001, 83 ss.
[14] Si ricorda il primo tentativo compiuto dal Consiglio d’Europa con la risoluzione del 25 settembre 1995: cfr. Risoluzione dell’Assemblea parlamentare sulla democrazia informatica, in “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 1, 1996, 173 ss. (ivi, la nota di R. Sapienza). V. ora la decisione della Corte di Giustizia delle Comunità europee (sentenza 6 novembre 2003, Lindqvist, causa C-101/01), la quale ha stabilito che l’inserimento in una pagina Internet di dati personali da parte di una persona che si trovi in uno Stato membro costituisce un «trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato» ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva CE 95/46, nel cui ambito di applicazione, pertanto, ricade. Le disposizioni della direttiva 95/46 non determinano, in ogni caso, una restrizione di per sé incompatibile con la libertà di espressione, come garantita, tra l’altro, dall’art. 10 CEDU, ma spetta alle autorità e ai giudici nazionali ricercare il giusto equilibrio tra la libera circolazione dei dati personali, la tutela della vita privata e la libertà di espressione.
[15] Sulla questione, v. S. RODOTA’, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari 1997; ID., Libertà, opportunità, democrazia e informazione, in Internet e Privacy: quali regole? Atti del convegno organizzato dal Garante per la protezione dei dati personali, Roma 1998, 12 ss. il quale, con riferimento a Internet, la definisce come «una forma che la democrazia può assumere, è una opportunità per rafforzare la declinante partecipazione politica. E’ un modo per modificare i processi di decisione democratica» (p. 15).
[16] Per le varie definizioni citate nel testo, v. nell’ordine i seguenti studi: L.K. GROSSMAN, The Eletronic Repubblic. Reshaping Democracy in the Information Age, New York 1995; P. COSTANZO, La democrazia elettronica (note minime sulla cd. e-democracy), in “Il diritto dell’informazione e dell’informatica”, n. 3, 2003, 465 ss.; L. SCHEER, La democrazia virtuale, tr. it. Genova 1997; AA.VV., La démocratie continue, sous la direction de D. Rousseau, Paris-Bruxelles 1995; V. FROSINI, La democrazia nel XXI secolo, Roma (ed. Ideazione) 1997 (ID., La democrazia informatica non è autoritaria, ma di massa, in “Telèma”, n. 14, 1998, 105 ss.).
[17] Così A. DI GIOVINE, Democrazia elettronica: alcune riflessioni, in “Diritto e società”, n. 3, 1995, 399 ss. (ora anche nel vol. ID., Democrazia diretta e sistema politico, Padova 2001, 55 ss.).
[18] V. I. BUDGE, The new Challenge of Direct Democracy, Cambridge (UK), 1996, il quale ritiene che la nuova sfida della democrazia diretta fornirà ai cittadini gli strumenti informativi e formativi per una consapevole partecipazione alla vita politica della comunità a cui appartengono e porterà altresì a rivitalizzare gli organismi rappresentativi.
[19] Per una rassegna delle diverse esperienze, v. ora L. CUOCOLO, Voto elettronico e postdemocrazia nel diritto costituzionale comparato, in “Diritto pubblico comparato ed europeo”, n. 1, 2008, 258 ss.
[20] Il voto elettronico a distanza è stato introdotto in Svizzera con la legge federale sui diritti politici del 21 giugno 2002; in particolare, a Ginevra gli elettori possono esprimere il proprio voto da qualsiasi postazione Internet, semplicemente utilizzando un codice di identificazione e una passwordpreventivamente inviata da parte degli uffici elettorali. Sul punto, notizie e dettagli in L. CUOCOLO, op. ult. cit., 261 ss.