1. Il rango della CEDU nell’ordinamento interno.
Il tema dei rapporti tra CEDU e ordinamento interno e dunque, del rango della Convenzione nel nostro ordinamento[1], ha generato un acceso dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, almeno fino all’intervento della giurisprudenza costituzionale nel 2007, successivamente rimessa in discussione in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
L’importanza della soluzione del tema del rango della Convenzione europea nell’ordinamento italiano deriva proprio dalla notevole portata evolutiva della CEDU con riferimento ad ogni settore del diritto interno.
Sul punto sono intervenute due sentenze della Corte Costituzionale del 22 ottobre 2007, la n. 348 e la n. 349.
La Consulta, al fine di risolvere il problema del rango della CEDU nell’ordinamento interno ha analizzato alcune disposizioni della Costituzione che si occupano dei rapporti tra lo Stato italiano e gli ordinamenti e gli organismi internazionali, ed in particolare, gli articoli 10, 11 e 117 Cost. (quest’ultimo riformato dalla legge cost. 3 del 2001).
L’articolo 10 sancisce l’obbligo di conformazione dell’ordinamento italiano “alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Tale locuzione è stata intesa dalla Consulta pacificamente riferita alle norme del diritto internazionale consuetudinario, per le quali soltanto la Costituzione dispone l’adattamento automatico; ne consegue che non possono ritenersi incluse anche le norme contenute in Trattati bilaterali o plurilaterali, di diritto internazionale pattizio, categoria cui appartengono le norme CEDU.
Sicché la Corte, sotto un primo versante, esclude che il tema del rango della CEDU nel nostro ordinamento possa essere risolto tramite il richiamo all’articolo 10 della Costituzione.
La Consulta esclude altresì che la questione possa essere definita in base al richiamo alla norma di cui all’articolo 11 della Costituzione.
Tale disposizione sancisce l’adesione dello Stato italiano, consentendo alla limitazione della propria sovranità, alle organizzazioni internazionali che abbiano come scopo quello di assicurare il perseguimento della pace e della giustizia fra le Nazioni.
I giudici della Corte Costituzionale ritengono infatti che l’articolo 11 della Costituzione non possa disciplinare il rapporto tra l’ordinamento interno e la CEDU, perché aderendo a tale Convenzione, l’Italia non ha acconsentito ad alcuna limitazione di sovranità a favore della CEDU.
Sicché la giurisprudenza costituzionale ha identificato nell’articolo 117, comma primo, Cost. la norma che contiene le disposizioni che regolano il rapporto tra ordinamento interno e Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La disposizione in questione sancisce che il legislatore interno deve rispettare i vincoli derivanti “dagli obblighi internazionali”, ai quali vengono ricondotti gli obblighi che promanano dall’adesione alla CEDU.
L’articolo 117 della Costituzione è un esempio di “rinvio mobile ad una fonte”[2], poiché esso è integrato dalle norme CEDU, le quali rappresentano delle “norme interposte”, che trovano la loro collocazione nella gerarchia delle fonti interne a metà strada tra norme di rango ordinario e norme della Costituzione, in quanto
sono dotate di una maggiore forza di resistenza rispetto alle leggi ordinarie[3], ma sono comunque gerarchicamente inferiori alle norme costituzionali.
In virtù di tale ricostruzione alla CEDU viene attribuito un duplice ruolo: da una parte essa diviene parametro interposto per vagliare la legittimità costituzionale delle norme interne; dall’altra essa rappresenta un criterio per l’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni interne.
Il giudice italiano quindi, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma interna per contrarietà alle disposizioni previste dalla CEDU, deve intraprendere la via dell’interpretazione convenzionalmente e, dunque di conseguenza, costituzionalmente orientata, assegnando alla disposizione il significato che la renda non incompatibile con la Convenzione e, ai sensi del richiamo di cui al primo comma, dell’articolo 117, con la Costituzione.
Qualora tale via interpretativa non sia percorribile, il giudice deve sollevare la questione di costituzionalità della norma interna per contrarietà rispetto alle disposizioni della CEDU.
L’esito cui si perviene nel risolvere la questione del rango della CEDU e dei rapporti della stessa con l’ordinamento interno, diverge da quello cui si è giunti con riferimento al “diritto comunitario” (rectius: “diritto dell’Unione Europea”), per il quale si ritiene operi direttamente l’articolo 11 della Costituzione, che determina l’adesione alle organizzazioni sovranazionali, quali in specie, l’Unione Europea, accettando limitazioni di sovranità.
Da ciò consegue che, qualora la norma interna sia confliggente con il diritto comunitario, si disapplica (e cioè non si applica, poiché la norma interna viene considerata “tamquam non esset”), in virtù del principio di “primazia del diritto comunitario”, senza ricorrere all’intervento della Corte Costituzionale.
2. Il dibattito sorto dopo il Trattato di Lisbona del 2009. L’indirizzo prevalente.
Il dibattito sul rango della CEDU è tornato di attualità dopo la ratifica del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con la legge 2 agosto 2008, n. 130 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009[4].
Il Trattato in questione ha modificato il Trattato sull’Unione Europea (TUE) ed ha istituito il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE); in particolare, l’aspetto innovativo che in questa sede occorre rilevare è costituito dalla modifica dell’articolo 6 del Trattato sull’Unione Europea.
Tale articolo al paragrafo 1, statuisce che “l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”.
Il paragrafo 2 dispone che “l’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenza dell’Unione definite nei Trattati”; il paragrafo 3 invece, dispone che “I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione Europea in quanto principi generali”.
Il primo paragrafo dell’articolo 6 contiene il riferimento alla Carta dei diritti fondamentali di Nizza, alla quale, in virtù delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona, viene assegnato “lo stesso valore giuridico dei Trattati”.
Sotto un primo versante dunque, è opportuno rilevare l’avvenuta “comunitarizzazione” (o “trattatizzazione”) della Carta di Nizza, approdo questo su cui la dottrina e la giurisprudenza sono unanimemente concordi.
Quanto alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo invece, richiamata nei paragrafi 2 e 3 dello stesso articolo 6, del Trattato sull’Unione Europea, all’orientamento secondo cui tale Convenzione sarebbe stata “comunitarizzata”, si contrappone quello secondo cui la CEDU conserverebbe la natura di norma interposta sub-costituzionale[5].
La prima tesi, quella dell’avvenuta “comunitarizzazione” (o “trattatizzazione”) della CEDU, secondo cui alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sarebbe stato attribuito lo stesso valore giuridico e dunque, la stessa forza dei Trattati, si fonda sulla valorizzazione del dato letterale contenuto nei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6; in particolare, viene posto l’accento sulle locuzioni “aderisce” e “fanno parte” (riferito ai diritti sanciti dalla CEDU).
Da tale ricostruzione deriva la necessità di garantire la primauté della CEDU sulle norme del diritto interno, alla stregua di ciò che avviene per il “diritto comunitario”, e cioè attraverso il meccanismo della disapplicazione
delle norme interne configgenti con le norme CEDU.
A tale impostazione si contrappone quella secondo cui
il rango delle norme CEDU nell’ordinamento interno sarebbe rimasto il medesimo, anche dopo le modifiche apportate all’articolo 6 dal Trattato di Lisbona.
Sicché alla Carta di Nizza e alla CEDU viene attribuito diverso valore giuridico.
Alla conclusione riferita la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie pervengono attribuendo rilevanza alla disposizione contenuta nel paragrafo 1, con riferimento alla Carta di Nizza, alla quale è stato assegnato “lo stesso valore giuridico dei Trattati”. La medesima disposizione non è stata prevista per la CEDU, essendo stata prevista invece solo una mera “adesione” ed essendo stato disposto che i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo “fanno parte” del diritto dell’Unione Europea, quali affermazioni di principio prive di un effetto innovativo del valore giuridico della CEDU.
Allo stesso esito è pervenuta da ultimo la Corte Costituzionale, con sentenza del 12 ottobre 2012, n. 230, nella quale la Consulta ha confermato il rango della CEDU di fonte sub-costituzionale, ma sovra-ordinata rispetto alla legge costituzionale.
[1] BUTTURINI, La tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento costituzionale italiano ed europeo, Napoli, 2009.
[2] NOVELLI, Fonti nel diritto nazionale ed europeo a confronto nel dialogo tra le corti supreme, in Diritto e giurisprudenza, 2012, 2, p 100.
[3] Ivi.
[4] SORRENTINO, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona (considerazioni preliminari), in Il corriere giuridico, 2010, 2, pp. 145-151
[5] NOVELLI, Fonti, op. cit..
www.echr.coe.int/Documents/Rules_Court_ITA.pdf